Uno spazio per l'immaginazione.
Dopo settimane di blocchi e cortei spontanei e massivi in città e presidi permanenti nei paesi, mobilitazioni nei posti di lavoro, scuole, università, periferie, lo sciopero generale di venerdì 3 ottobre ha segnato un'esplosione individuale e collettiva di rabbia e di gioia, in rottura con l'esaurimento morale dell'occidente.
Mentre governo e industrie italiane, come la Leonardo, si svelano sfacciatamente complici di un genocidio le cui immagini rivoltanti vengono mostrate da due anni in diretta; mentre cade definitivamente la maschera del Diritto - come ben dimostra il processo contro Anan, Alì e Mansour - vuoto formalismo strumentale alla difesa del potere, i cui metodi come sempre si alternano all'uso della mera forza contro ciò che è considerato d'intralcio; mentre Von der Leyen, Bezos e Elkann recitano con gran sorrisi la farsa dell'innovazione tecnologica al servizio dell'umanità quando è evidentemente infrastruttura per riarmo, sorveglianza, sterminio;
in tanti, tantissimi, distolgono gli occhi dagli schermi per incontrarne altri in strada, interrompendo la propria \"normalità\", rompendo con disinvoltura gli argini di leggi repressive che fino a qualche mese fa sembravano paralizzanti, bloccando una strada, una fabbrica, una scuola, stazioni dei treni, porti, aeroporti, supermercati, scioperando dentro alle prigioni. Sguardi che si ritrovano complici nel riconoscere visceralmente ciò che è giusto e ciò che invece non è accettabile e nel realizzare improvvisamente che agire, in prima persona, conta. E' un umano sentimento di intollerabilità a rompere il cinico nichilismo del tecnocapitalismo con la sua corsa verso la morte o la semi-vita per cavie e prigionieri all'aperto, di cui simbolo è la polizia penitenziaria in assetto antisommossa per le strade di Roma, sabato.
In queste settimane si è aperto uno spazio per l'immaginazione. Se il recupero e i paletti da parte di partiti e sigle, con le proprie indicazioni di metodo, le proprie parole d'ordine, i propri tentativi \"costituenti\", è dietro l'angolo, così come la possibilità che lo slancio di questi giorni venga smorzato dalle fila sinistre e politiche e ricondotto a mediazioni o infami \"piani di pace\" che vogliono disarmare la resistenza, mentre sul fronte orientale in Ucraina le macchine del terrore minacciano la distruzione totale, riuscire a coltivare nella durata questo sentimento, continuando a immaginare e sperimentare, ciascun a suo modo, forme di azione diretta - sentite e non rappresentate, legami più che composizioni, autonomie non contro-istituzioni - difendendo un senso morale di rifiuto dell'orrore, è ciò a cui la resistenza palestinese è riuscita a chiamarci.
Se le piazze contro il Green Pass erano mosse da un umano sentimento di rifiuto ad essere ridotti a cavie, se i disertori russi e ucraini e i loro complici rifiutano di essere ridotti a carne da macello per le guerre dei padroni, oggi chi blocca le strade qui lo fa perchè rifiuta di essere complice della macchina del genocidio, per cui governo e industrie italiane ci vorrebbero mobilitare apaticamente.
Non è il tempo di grandi parole. Se la speranza è che questo sentimento si espanda e si diffonda anche al di là di Gaza, contro il tecnocapitalismo e la sua guerra generale alla vita, che anche la giornata del 4 ottobre a Roma non sia che un tassello di ciò che verrà.
Contro l'ineluttabilità.
Solidarietà a tuttx x fermatx, feritx, arrestatx, e a chi lotta per non perdere un occhio colpito da un lacrimogeno delle guardie a Bologna.
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